La natura
LA FLORA PARTE CONOSCITIVA
1. CARATTERISTICHE GENERALI DEL PATRIMONIO BOTANICO DEL PARCO NAZIONALE DEL GARGANO.
Promontorio per antonomasia, secondo un nome che, come l’etimo sembra rivelare, gli fu verosimilmente attribuito da antichissimi navigatori e coloni indoeuropei dell’oriente mediterraneo, il Gargano rappresenta una vera e propria testa di ponte in territorio peninsulare del mondo vegetale egeo-anatolico.
Tale connotazione biogeografica costituisce la base di quella motivazione scientifica sulla quale, nei decenni trascorsi, è venuto a costituirsi quel movimento culturale che ha portato alla richiesta della elevazione allo status di parco dell’intero territorio del promontorio.
Ed è da qui che un vero e proprio corridoio di orientalità biologica si irradia verso la costa tirrenica, viaggiando alla stessa latitudine del promontorio, attenuandosi progressivamente attraverso l’Appennino per esaurirsi, come una ondata di risacca, sui rilievi calcarei che cingono la campagna romana.
Due sono fondamentalmente i modi di espressione di tale peculiarità fitogeografica. In un primo caso si tratta di un contingente di specie suffruticose ed erbacee proprie dei sistemi rupestri ai limiti meridionali del promontorio e delle stazioni aride delle falesie costiere. Queste specie rivelano una lontana origine da ecosistemi semidesertici e steppici, e che presentano affinità filogenetiche con analoghi diffusi dagli altipiani anatolici e dalla Palestina (a oriente dei distretti del dominio della vegetazione mediterranea, ai limiti con il deserto siriano), fino ai rilievi dell’Asia centrale. In un secondo caso si tratta di forme di vegetazione forestale a carattere caducifoglio temperato di impronta decisamente balcanica (cerrete miste) e di una flora di alberelli di piccole dimensioni e cespugli che di tale foresta costituisce l’orlatura esterna (carpino orientale, albero di Giuda, terebinto, Paliurus).
Sulle coste del promontorio e sul suo entroterra si è conservato inoltre fino ad oggi, grazie alle asperità della topografia e la lontananza dagli insediamenti di una civiltà tipicamente rivierasca, una notevole porzione del paesaggio vegetale di epoca “preculturale”, emblematicamente rappresentato oggi dalle residuali ma, ancor vaste, estensioni boscate della Foresta Umbra, la “foresta del monte” che trae verosimilmente il suo nome da un ben più lontano sostrato linguistico che quello latino.
Qui alcuni lembi monumentali di faggete multistratificate a quote “abissali” per la norma appenninica (fino a 300 m di quota!) possono essere considerati in parte ancora in uno stato “simil-primevo”, cosa che sembrerebbe suggerire che il fitto strato subordinato costituito da popolazioni di Tasso e Agrifoglio sia caratteristica primaria della faggeta rispetto a quella pura e impoverita dei consorzi delle alte quote appenniniche.
A favore di una antichità composizionale e strutturale parla anche la singolare somiglianza morfologica osservata su alcune popolazioni di faggio locale con i faggi della porzione sudorientale della penisola Balcanica, che presentano in quei distretti i resti di un assetto rappresentativo delle condizioni ambientali di epoca molto più antica di quella attuale (preglaciale?) della foresta temperata decidua sudeuropea. Lo stesso può dirsi di alcuni soprassuoli della foresta di latifoglie “mista” a quote leggermente inferiori, nella quale l’estrema ricchezza di specie legnose, specie che di norma sono scaglionate in base alla quota nel resto dei rilievi dell’Appennino, qui coesistono negli stessi siti, smistandosi invece in base al ruolo che occupano nel processo di “suturazione” delle lacerazioni della volta forestale, causate da caduta naturale, taglio occasionale o antica frequentazione di armenti pascolanti.
I distretti più prossimi alla costa mostrano la graduale prevalenza di una foresta sempreverde dominata da leccio, i cui resti ancor oggi si spingono fino alla linea di riva. Il leccio giunge con alcune popolazioni occasionalmente anche a quote elevate intorno a 800 m a ricordo di fasi climatiche pregresse a carattere più caldo (e umido, come sembrerebbe dimostrare la presenza di alloro) rispetto all’attuale. Non meno celebri in questo contesto sono le pinete naturali di Pino d’Aleppo, che costituiscono uno degli aspetti più spettacolari del paesaggio vegetale dei settori costieri (e che dominano lo scenario ambientale delle isole Tremiti), che sembrano essere per lo più sostitutive di precedenti foreste di leccio danneggiate dagli incendi ripetuti sin da epoca antica. Derivate comunque da una rete di nuclei sporadici decisamente primari accantonati in situ su rupi e falesie, sono i resti emblematici di una copertura vegetale a carattere forestale della fine dell’ultima glaciazione, rimasti aggrappati alle falesie costiere di un golfo adriatico in costante ritiro dal post-glaciale in poi, che ha lasciato sul suo cammino nuclei di pineta “egea” dal Gargano alle Tremiti e alle isole dalmate.
Al di là delle condizioni di clima e substrato favorevoli, che possono giustificare questo particolare assetto attuale della vegetazione forestale, il contesto garganico mostra quindi una assoluta prevalenza di caratteri conservativi a carico di tutte le forma di vegetazione. Questa importanza della componente fitostorica nel determinare l’assetto della vegetazione garganica, rappresenta un elemento assolutamente decisivo per la ricostruzione delle vicende storiche del popolamento vegetale di tutto l’Appennino meridionale. Il buon stato di conservazione attuale di alcune foreste garganiche (legato anche a una qualche oculata gestione forestale nel corso di un lungo periodo) legittima come “modello architettonico” ancestrale la particolare composizione e struttura verticale stratificata dei consorzi locali (in particolar modo la faggeta e la foresta mista di caducifoglie temperate).
Tale stato, rappresentando una condizioni relativamente indisturbata rispetto al rimaneggiamento umano, suggerisce un nuovo indirizzo interpretativo sulla composizione d’origine di gran parte delle foreste appenniniche, che identifichi il valore di modello cenologico di riferimento in un assetto polispecifico, con specie, attenuando la staticità del modello corrente che prevede numerose comunità forestali monofitiche di volta in volta dominate da un’unica specie legnosa secondo il gradiente topografico. Dal punto di vista gestionale questo assunto se approfondito, può consentire di indirizzare la politica forestale al mantenimento di consorzi misti, come specchio di assetto primario sopravvissuto grazie a una generale permissività del clima locale invece che espressione di una ecotonalità diffusa.
Notevole diversificazione si osserva anche a carico della vegetazione di ambienti salati, sia sulle scogliere dei tratti di costa alta (vegetazione a finocchio di mare, Chritmum maritimum), che su depositi fangosi e dune litoranee dei tratti di costa bassa (salicorneiti e giuncheti dei laghi di Lesina e Varano, foce del Fortore, litorale di Manfredonia, foce del Candelaro). Particolare sviluppo assumono popolamenti a Artemisia arborescens, caratteristici di ambienti salati ove sia anche abbondante l’accumulo di guano, anch’essi comunque testimonianza di ambienti subdesertici di un trascorso climatico remoto.
Ma qui è soprattutto la flora delle falesie e dei vastissimi strapiombi e scoscendimenti delle pendici sudorientali del promontorio che parla a favore di una antica continuità territoriale con le regioni del mediterraneo orientale. E’ questa una flora in parte di antica origine montana e subdesertica, qui soggetta a eventi speciativi accentuati (isolamento attuale), che hanno portato a una elevata concentrazione di endemismi locali o subendemismi a carattere anfiadriatico (Centaura subtilis, Scabiosa dallaportae, Onosma angustifolia, Inula verbascifolia etc.). A monte di questi accantonamenti o in posizione periferica ad essi, si rinvengono aggregazioni primarie di Rosmarinus, Micromeria sp. pl, Thymus capitatus, Sideritis syriaca, veri e propri avamposti di “frigane” (garighe a suffrutici) egee, che localmente assumono aspetto di lembi di steppa (le celebri steppe pedegarganiche) a Dasypyrum villosum e numerosi taxa di Andropogonee. E’ da nuclei primari di questi consorzi su rupe o suoli superficialissimi dei pavimenti calcarei del pedemonte garganico che hanno preso origine, con la deforestazione, innescata in epoca antichissima dall’avvento della cerealicoltura, le (pseudo-) steppe colturali di immensi territori della Puglia centrale.
Di queste vicende, che parlano di un massiccio e remoto rimaneggiamento umano della copertura vegetale originaria del promontorio, fanno fede i vastissimi cespuglieti e boscaglie decidue a marruca (Paliurus spina-christi) e carpino orientale (Carpinus orientalis), testimonianza altrettanto autorevole di affinità anfiadriatiche, in quanto simili ad analoghe formazioni primarie su pendii acclivi a suoli superficialissimi di vasti territori della sponda opposta dell’Adriatico (sibljak).
Particolarmente emblematici per il carattere conservativo della vegetazione e flora garganiche sono comunque i ginestreti pulvinati e spinosi a Genista sericea (anfiadriatica), G. micheli, Chamecitisus spinescens, Euphorbia spinosa, resti clamorosi di una vegetazione cacuminale centroasiatico-mediterranea propria di un passato climatico molto arido (finiglaciale ultimo?), accantonate su alcune creste ventose intorno a 600 m di quota del territorio di Monte S. Angelo. Borgo di altura questo, sulle cui emergenze rupestri in parte inglobate nell’abitato, si attestano alcune fra le più preziose endemite locali (Campanula garganica, Aubretia columnae ssp italica).
Queste caratteristiche rendono il territorio del Parco area di rifugio di una flora e vegetazione di scenari climatici pregressi, area nodale per la ricostruzione della genesi del paesaggio vegetale dell’intero Appennino meridionale. La gestione dovrà tener conto di queste straordinarie caratteristiche del patrimonio botanico, alla cui tutela andrà affiancata anche una altrettanto attenta tutela del paesaggio umanizzato, il paesaggio agrario, le aree di antica deforestazione, serbatoio secondario di conservazione di numerosi taxa di questa antichissima flora.
2. LA CARTA DELLA VEGETAZIONE REALE: MEMORIA ILLUSTRATIVA.
Vengono qui presentate le unità di vegetazione descritte nel loro andamento spaziale nella cartografia allegata (Carta della vegetazione reale). Sono indicate le caratteristiche salienti della composizione floristica e della struttura verticale delle comunità vegetali ad esse corrispondenti, unitamente alle tendenze del dinamismo successionale e alla loro affinità con le unità della sinsistematica fitosociologica descritte nella letteratura specifica.
Per i tipi di vegetazione descritti sono altresì indicate, in appositi riquadri, le unità della classificazione CORINE Biotopes ad essi corrispondenti e gli Habitat di interesse comunitario (Allegato I Dir. 92/43/CEE) presenti.
La nomenclatura delle specie citate si rifà allo schema della Flora d’Italia (Pignatti, 1982).
Nel complesso la vegetazione del promontorio presenta una specificità che è espressa dalla esistenza in uno spazio relativamente ristretto di vasti consorzi a carattere mediterraneo, dominati da latifoglie sempreverdi e conifere, accanto a lembi altrettanto estesi di foresta di latifoglie decidue a carattere temperato, alternata ad aspetti di foresta sub-continentale di tipo balcano-appenninico. Il fenomeno è legato verosimilmente alla caratteristica topografia di un rilievo costiero mediterraneo isolato dal resto delle dorsali appenniniche, evocando per certi aspetti alcuni connotati della vegetazione e della sua articolazione topografica rilevabili sui rilievi del subappennino tirrenico.
Il macroclima del promontorio è tipicamente mediterraneo, caratterizzato da precipitazione invernali-primaverili e da un periodo più o meno intenso di siccità estiva (Fenaroli, 1966; Hofmann, 1961). Si tratta pertanto di variazioni a livello della morfologia locale che determinano condizioni meso- e microclimatiche nel corso dell’anno molto discoste dall’andamento generale del macroclima. L’esposizione alle meteore provenienti dai quadranti settentrionali derivante dalla posizione del promontorio protesa nell’Adriatico e la schermatura dell’Appennino rispetto alle meteore di provenienza occidentale, determinano una smistamento delle forme di vegetazione di tipo climatogeno che non sempre segue la classazione altitudinale nota per il resto del territorio appenninico a queste latitudini.
A grandi linee, ciò provoca sul Gargano una spesso inaspettata risalita in quota di specie a carattere ed ecologia di tipo mediterraneo e a una discesa verso valle di specie della foresta decidua temperata o subcontinentale. Il tutto costellato di sporadi rupestri e siti acclivi che, a varie quote, hanno fornito rifugio a consorzi e specie a carattere relittuale legati ad altre epoche climatiche più aride rispetto a quella attuale, specie che da tale eterogeneità topo-climatica hanno tratto la ragione della loro sussistenza fino ad oggi. Storia geologica e clima hanno pertanto attirato sul promontorio del Gargano due contingenti di specie vegetali florogeneticamente distinte, una di tipo mediterraneo e una di tipo continentale (Macchia et al., 1988), che si aggregano si fronteggiano e si compenetrano secondo l’andamento della topografia locale in base a un modello del tutto particolare. Tal modello da sempre ha attirato l’attenzione degli studiosi e costituisce storicamente la base scientifica della richiesta culturale di una forma di tutela per la vegetazione del promontorio.
2.1 VEGETAZIONE FORESTALE
Macchia mediterranea, garighe e pseudomacchie
La Macchia mediterranea sul Gargano si manifesta in maniera più marcata nell’area settentrionale ed orientale (di particolare evidenza le formazioni sui tomboli sabbiosi dei laghi di Lesina e di Varano, e quelle nei territori di San Nicandro Garganico, di Vieste e di Mattinata) ma non mancano interessanti esempi sui versanti meridionali del Promontorio. Tali cenosi, stimabili in circa 2000 ettari, sono caratterizzate dalla presenza degli elementi sclerofilli sempreverdi tipici della Macchia quali il Lentisco (Pistacia lentiscus L.), l’Alaterno (Rhamnus altaternus L.), l’Olivastro (Olea europea L. var. sylvestris Brot.), il Mirto (Myrtus communis L.) e la Fillirea (Phillyrea latifolia L.) e, su alcuni costoni rocciosi anche lontani dal mare, da Euforbia arborea (Euphorbia dendroides L.).
Le garighe, camefitiche o nanofanerofitiche, ritenute indicatrici di fenomeni di desertificazione in ambiente mediterraneo, sono costituite spesso da una flora di antica origine montana e subdesertica, e rappresentano, com’è noto, il penultimo stadio di degradazione della vegetazione mediterranea a causa dell’erosione del suolo, del pascolo con carichi eccessivi, degli incendi e del disboscamento, collocandosi fra la macchia xerofila e le praterie steppiche. Le formazioni a gariga, talvolta spinose e che assumono abitus prostrato o tondeggiante pulvinato, sul Gargano sono più diffuse nel settore meridionale, mosaicate con praterie terofitiche e steppiche, e sono rappresentate da unità vegetazionali nelle quali prevalgono Helicrisum italicum, Rosmarinus officinalis, Genista michelii, Euphorbia spinosa, Cistus sp., Satureja montana, Euphorbia characias, Thymus sp. ecc.. Di particolare interesse sono le garighe ed i nuclei di macchia bassa a Ephedra major, interessante relitto floristico del Terziario, presenti in alcune località dei valloni del settore meridionale del Promontorio.
Le pseudomacchie (formazioni arbustive a prevalenza di arbusti caducifogli) assumono particolare rilievo vegetazionale e fitogeografico nell’area nord-occidentale del Promontorio, per l’abbondante diffusione di vegetazione a Paliuro o Marruca (Paliurus spina-christi Miller) che forma tipi vegetazionali analoghi a quelli del Velebit o Sibljak della Slavonia e della Dalmazia meridionale (Lorenzoni, 1992; Fenaroli, 1966). Da segnalare anche le facies a Citiso peloso (Cytisus villosus L.) e quelle ad Succiamele (Anagyris foetida L.) indicatrici di particolari condizioni di nitrofilia.
Di particolare interesse sono anche i primi contrafforti del settore meridionale sui quali si riscontra una vegetazione caratterizzata da Olivastreti a Olivastro (Olea europea L. var. sylvestris Brot.), dove spicca anche la presenza del raro Mandolo di Webb (Prunus webbii (Spach) Vierh.)..
Altri aspetti vegetazionali d’interesse mai indagati sono quelli delle pseudomacchie a Terebinto (Pistacia terebinthus L.), diffuse in diverse aree collinari e pedemontane del territorio garganico.
Boschi a Pino d’Aleppo (Pinus halepensis Miller)
La Macchia mediterranea evolve molto spesso in formazioni forestali a Pinus halepensis Miller, estese su oltre 6000 ettari, considerate tra le più importati in Italia, ubicate soprattutto nella parte orientale del Promontorio, dal livello del mare fino a raggiungere, in alcuni casi e con esemplari isolati, i 700 m s. m. (località “il Parchetto” in territorio del Comune di Vico del Gargano, a contatto con le faggete). Di valenza vegetazionale sono anche i lembi di pineta autoctona dei cordoni dunosi dei laghi di Lesina e di Varano nonché le ultime propaggini meridionali dell’areale garganico della specie, ubicate nel territorio del Comune di Monte Sant’Angelo.
Quasi tutte le pinete del Gargano, ubicate soprattutto nei comuni di Mattinata, Vieste, Peschici, Vico del Gargano e Rodi Garganico, sono state sottoposte a resinazione fino alla fine degli anni ’50 dopo di che i processi evolutivi, quando non vanificati dagli incendi, hanno consentito spesso una netta affermazione della lecceta che, in alcuni casi, ha formato uno strato arborescente nella stessa pineta.
Boschi a Quercus Ilex
Le leccete, boschi di particolare valenza paesaggistica e culturale, la cui estensione è stta stimata pari a circa 4000 ettari, sono riscontrabili dal livello del mare fino ad oltre 700 m s.l.m.. Le tre tipologie individuate sono la lecceta a Orniello delle aree costiere e dei versanti più caldi presente anche con la variante a Carpino orientale nelle aree collinari nord-occidentali, e la lecceta collinare interna a Carpino nero, sui versanti più freschi.
Di rilievo, ma ancora non studiati, sono i lembi di lecceta rupicola relitta delle aree submontane e montane, presenti anche nelle faggete. Piante isolate di Quercus ilex si spingono fino ad oltre 900 m di quota (Monte Calvo). Alcuni altri aspetti peculiari delle leccete garganiche riguardano facies a Erica arborea e/o ad Arbutus unedo nonché i nuclei, lungo le forre,di Laurus nobilis con irradiazioni anche nei boschi di caducifoglie e nelle pinete.
2.1.1 Faggeti a tasso e agrifoglio (unità n. 1).
Le faggete garganiche rappresentano i popolamenti italiani a faggio che si estendono fino alle quote più basse in assoluto fra quelle note, oltre ad essere le faggete più direttamente a contatto con le forme di vegetazione mediterranea a carattere termo-xerico e quelle più prossime alla linea di costa di tutta la penisola.
Si riconoscono fondamentalmente due più vasti nuclei localizzati in corrispondenza di comprensori che fanno capo alle emergenze più elevate del rilievo sul promontorio. Si tratta dei popolamenti del territorio di Umbra- Iacotenente-Sfilzi (circa 3200 ha) a quote comprese fra 400 (in località Vallone del Piconcello) e 830 m e dei popolamenti delle pendici di Monte Spigno (circa 800 ha), fra 620 e 980 m (Hoffmann, 1961).
Un terzo nucleo di dimensioni ridotte, polverizzato in alcune popolazioni di faggio disperse in seno al querceto mesofilo, si rinviene nel Bosco di Ischitella, ma per questo non meno rilevante, in quanto il faggio raggiunge colà (Vallone Grande) la quota decisamente “abissale”, per le norme appenniniche, di circa 270 m ed alcuni esemplari si rinvengono a meno di 200 m nel Vallone della Maddalena. Pur conservando qui ancora in alcuni lembi caratteristiche fisionomiche e floristiche proprie delle faggete di quote ben più elevate, sono comuni nel consorzio popolazioni di specie decisamente termofile o addirittura sempreverdi mediterranee irradiatesi dalle aree circumvicine (Arbutus unedo, Laurus nobilis e Quercus ilex). L’ampiezza dell’intervallo oromentrico è notevole, qualora si consideri che nello stesso comprensorio del Bosco di Ischitella, in seno al bosco caducifoglio, la specie risale anche le pendici settentrionali di Coppa Tre Confini, dove raggiunge quasi la cima, attestandosi a 714 m.
Al contrario di quanto si osserva lungo la dorsale appenninica, il faggio al Gargano non si colloca così decisamente alla sommità di una zonazione altitudinale rispetto alle altre forme di vegetazione forestale zonale. Solo sulle pendici rivolte a Nord di M. Spigno (da quota 620 a 1008 m) si attesta alla sommità della zonazione (alle stesse quote sui versanti rivolti ai quadranti meridionali una lecceta mista a decidue submediterranee raggiunge il limite superiore degli alberi!), ma manca nelle foreste delle pendici della dorsale più elevata del promontorio, il gruppo di M. Calvo (1055 m), M. Calvello (945 m), Coppa di Incero (930 m). L’area di diffusione massiva della faggeta sul promontorio corrisponde ai rilievi livellati di Umbra, una sorta di altopiano ondulato compreso entro un intervallo orometrico tra 850 e 700 m, inciso oltretutto dai solchi di un reticolo fluviale di superficie straordinariamente sviluppato rispetto alle condizioni fisiografiche del resto del territorio. Qui il faggio occupa gli alti topografici (M. Iacotenente, 832 m), chiaramente sovrapponendosi a forme di foresta mista temperata. Persiste comunque una certa preferenza per le concavità topografiche digitandosi essa verso la costa lungo le vallate fluviali dirette a Nord-Est e a Est addensandosi quindi sui pendii in destra idrografica rivolti prevalentemente a Nord.
In questo scenario giunge cosí in basso come a 370 m in valle Carpinosa nel comprensorio di Bosco Sfilzi, non a caso presso Fontana Sfilzi (396 m), che rappresenta l’unica sorgente montana perenne di tutto il promontorio. Nelle linee generali e a scala territoriale regionale, le ragioni di tale distribuzione sono state attribuite all’effetto mitigatore delle crisi di siccità estiva, legate al mediterraneismo del macroclima, determinato dall’apporto di aria umida da parte delle meteore provenienti da Nord e Nord-Est (Fenaroli, 1961; Hoffman, 1966), evidentemente catturate dal rilievo.
Anche senza un aumento di precipitazioni verrebbe a elevarsi in quota il grado igrometrico dell’atmosfera, determinando una sorta di “atlantismo eterotopico” (Fenaroli, 1966) favorevole al faggio. Tale condizione, dato il macroclima di tipo caldo-arido, verrebbe a crearsi anche a basse quote nelle vallate più profonde e forre. Tale modello causale di distribuzione spiegherebbe cosí anche la disgiunzione, rispetto ai nuclei di Umbra, delle popolazioni del comprensorio del Bosco di Ischitella, la rarefazione verso Ovest in direzione di Coppa Tre Confini (Umereta delle Ripe) e al contrario la ricomparsa nel fondovalle e sui versanti esposti a Nord e Nord-Est di Vallone Grande. E così pure la ricomparsa sulle pendici nordorientali di M. Spigno, ultima barriera alle meteore umide e l’assenza dai valloni e pendici dei contrafforti di M. Calvo, pur essendo questo il distretto più elevato del comprensorio.
Entrano evidentemente in gioco fattori quali l’effetto massa del rilievo di Umbra e l’assenza di questo procedendo verso i più elevati, ma frammentati, rilievi a Sud- Ovest di questa stessa area, oltre all’orientamento delle vallate e quindi l’esposizione delle pendici che le delimitano. Questo è apparentemente il motivo per cui si stabilisce un limite approssimativo alla distribuzione di faggio verso occidente che va da Valle della Carpinosa (Bosco Sfilzi) verso Sud-Ovest in direzione di Masseria della Bella, secondo un allineamento che definisce uno spartiacque fra i corsi d’acqua che scendono verso Nord e verso oriente e quelli che defluiscono verso il Lago di Varano e la costa a occidente di Rodi. In pratica la distribuzione locale di faggio risente di una morfologia che ricalca una suddivisione fra un distretto dominato da incisioni del drenaggio superficiale centrifughe rispetto al rilievo, nel settore orientale del promontorio (dove è favorito) e un distretto dominato da dorsali subparallele ad andamento NO-SE del settore sudoccidentale del promontorio (dove è sfavorito a parità di quota).
Le condizioni ambientali descritte come favorevoli al faggio, in quanto mitigatrici di un clima a lui altrimenti sfavorevole, sono piuttosto da interpretare come favorevoli a una persistenza della specie fino ad oggi “malgrado tutto”, che una sua presenza per elezione. Questa prospettiva temporale è indispensabile alla comprensione di tutto il fenomeno della coesistenza di una flora temperata, mesica, accanto a un termofila e mediterranea sul promontorio. Il faggio si è verosimilmente conservato sul Gargano insieme ad altre legnose temperate e mediterranee durante l’ultimo glaciale (è di eredità precedente, come specie presente ma scarsamente diffusa in Italia peninsulare nel Quaternario superiore).
Si deve dedurre, dalla configurazione attuale della copertura vegetale e dall’andamento generale delle vicende fitostoriche note per questo settore del Mediterraneo (Huntley et al., 1983), che nei gruppi montuosi subcostieri di queste regioni, le stazioni di forra, ove le condizioni di umidità locale legate a precipitazioni occulte o pioggia orografica potessero compensare la generale aridità del macroclima, allora elevata (il pleniglaciale è stato periodo aridissimo senza apprezzabili differenze di temperature medie annue rispetto alle attuali a questa latitudine), possano aver offerto rifugio a una flora legnosa quanto mai eterogenea, forse nemmeno organizzata in formazioni boscate a copertura continua. Stazioni di forra e quindi di bassa quota (rispetto alla linea di costa attuale), in quanto alle alte quote doveva verosimilmente dominare nel pleniglaciale una vegetazione di tipo steppico o di brughiera cespugliosa o una vegetazione savanoide a querce continentali (vedi la distribuzione di relitti steppici nelle aree interne del promontorio, fra M. S. Angelo e S. Giovanni Rotondo: servano di confronto le condizioni attuali dell’altopiano anatolico con steppe arborate a Quercus cerris s.l.) (Zohary, 1973).
In queste stazioni di forra alle quote medie e basse, popolazioni di specie più mesiche (Tilia sp. pl., Acer sp. pl., Fagus, Carpinus betulus) erano sopravvissute per un tempo lunghissimo (il pleniglaciale ultimo, il Wuermiano) inglobate forse in nuclei residui di querceto continentale a carattere xerotollerante a Q. pubescens s.l., Q. cerris, Pistacia terebinthus, Paliurus, Carpinus orientalis (oltre verosimilmente a Q. troiana e Q. ithaburensis: le connessioni apulo-balcaniche si protrassero infatti non oltre tale epoca, e la continuità di areale transadriatica per tali querce deve essersi mantenuta solo coinvolgendo il promontorio). E’ solo con il rapidissimo sviluppo delle foreste dalla fine del glaciale in poi (Olocene) (Magri,1998) che il faggio aumenta numericamente insieme al resto della flora legnosa mesica rivelando di aver mantenuto popolazioni in alcuni rifugi nel Sud della penisola (Huntley et al., 1983).
Da questo momento in poi fino a circa 5-6000 anni dal presente la vegetazione di tipo mesico si espande sempre più a seguito di un aumento generale olocenico dell’umidità (“optimum climatico” olocenico) e inoltre a seguito del verificarsi, in quel periodo, di piogge estive a mitigare ulteriormente il pur leggero aumento di temperatura di questi territori (Prentice et al., 1990). Il faggio deve aver raggiunto a quell’epoca o nel periodo immediatamente successivo di deterioramento climatico (diminuzione della temperatura media) a lui favorevole (e non alle altre caducifoglie mesofile), la sua massima diffusione in Appennino meridionale e al Gargano. Alla luce di ciò non si può parlare nel promontorio di “discesa” a quote più basse del faggio in epoca immediatamente anteriore alla nostra (come comunemente sostenuto), quanto piuttosto del contrario, di una sua risalita in quota dalla fine dell’ultimo glaciale in poi, a partire dai rifugi pleniglaciali di forra presso la costa e di una diffusione accentuata anche alle basse quote in corrispondenza dell'”optimum climatico” olocenico (da estendere forse al bronzo iniziale, II millennio A.C.; cfr. fase catatermica subatlantica sensu Chiarugi, 1939).
Le popolazioni o gli individui isolati delle stazioni depresse della zona di Ischitella (Vallone della Maddalena, Vallone Romandato, Vallone Grande) corrispondono quindi alle retrovie di una avanzata avvenuta da qui in tutte le direzioni. E’ in questo processo che una flora associata al faggio di tipo laurofillo (Vallone della Madalena: Laurus, Ruscus hypoglossum) o sempreverde termofila (leccio) o sempreverde mesofila (Taxus e Ilex) appare perfettamente coerente con queste vicende. Si tratta quindi, nel caso della faggeta a tasso e agrifoglio del Gargano, di un assetto floristico che va visto come retaggio arcaico (Valle Sorgentola). Questo è pertanto il valore straordinario in senso documentario della faggeta garganica. La faggeta non è certo la forma di vegetazione forestale appenninica meno rappresentata o più minacciata, ma nell’assetto cenologico presentato sul promontorio, unita alla presenza di popolamenti vetusti indisturbati di enorme valore documentario, la faggeta garganica assume connotato di prim’ordine nel contesto europeo. (cfr. Aremonio-Fagetum, Asyneumati-Fagetum, Aquifolio-Fagetum).
2.1.2 Foreste caducifoglie miste temperate a Quercus, Fagus, Tilia, Acer (unità n. 2).
Particolare interesse presentano alcune forme di vegetazione con caratteri di foresta di decidue temperate a struttura verticale pluristratificata, a elevata ricchezza floristica, accantonate in ambienti ove non si verifichino condizioni di ristagno al suolo e nel contempo non si manifestino episodi di aridità estiva, di norma limitati a pendii ombrosi su substrati decalcificati a scheletro abbondante.
Tali forme di vegetazione sono caratterizzate dalla presenza di Tilia platyphyllos, Acer sp pl., Ulmus glabra nel contesto di cerrete ad alto fusto con strato subordinato a Carpinus betulus, Corylus avellana e occasionalmente Ostrya, Prunus avium e Fagus. Fraxinus excelsior può comparire presso discontinuità della volta legate a presenza di corsi d’acqua). Il sottobosco annovera sempreverdi termo-mesiche (Phillytis scolopendrium, Daphne laureola, Ruscus hypoglossum), peraltro accompagnate anche da popolazioni di Ilex aquifolium fra le legnose sovrastanti, a medesima valenza adattativa.
La fisionomia di queste aggregazioni è estremamente variabile, evidentemente in relazione a variazioni della topografia stazionale e dello stadio del dinamismo, che inducono una risposta selettiva da parte delle legnose del soprassuolo nella distribuzione nei vari strati. Caratteristica di tali consorzi è il modello di coesistenza stazionale di un notevole numero di legnose normalmente distribuite in contesti cenologici altrimenti ben distinti lungo il gradiente altitudinale appenninico.
Ciò è enfatizzato dal fatto che in condizioni di termicità ed umidità accentuata (forre, impluvi) in vicinanza di lembi di biomi di tipo mediterraneo sempreverde, si associno alla composizione della volta forestale anche Quercus ilex, Laurus nobilis, con Euonimus latifolius negli strati subordinati. In alcuni casi, in questi stessi siti, in continuità catenale “virtuale” con avamposti della vegetazione sempreverde sono presenti popolazioni di Ilex e Taxus (altrove in Appennino con accantonamenti relittuali di abete bianco: esistono peraltro indizi di una antica segnalazione in Gargano). In siti caratterizzati da edafismo favorevole, Castanea si associa, mentre Quercus cerris. tende a prevalere ove si manifestino occasionali fenomeni di deficit idrico. Spesso ignorato dalla analisi cenologica dell’Italia peninsulare in quanto considerato risultato di interazioni ecotonali, un tale tipo di consorzio è verosimilmente silvofacies di una formazione di querceto mesico subcontinentale localizzata in siti particolarmente favorevoli dal punto di vista del bilancio idrico e termico.
La ricchezza floristica sembra legata alla mancata realizzazione della esclusione competitiva esercitata dal faggio sulle latifoglie temperate decidue e alla scarsa portata del disturbo umano, che quindi consente la formazione di popolamenti a carattere vetusto, nei quali la rinnovazione avviene per sostituzione da caduta, secondo modelli di dominanza alternata nel corso di un arco cronologico successionale prolungato. Le grandi assenti di tali formazioni locali, rispetto ad analoghe formazioni dell’oriente sudeuropeo sono Quercus petraea, peraltro segnalata ma non confermata sul promontorio e soprattutto di Q. robur, probabilmente svantaggiata dalla storia postglaciale nel sud della penisola italiana e confinata qui nel comprensorio a resti di boschi ripariali. La locale prevalenza di aceri è legata a episodi pregressi di sutura di varchi da caduta e quindi ha valore transitorio in tempi lunghi. Ove la presenza di rinnovazione di aceri sia assicurata comunque anche sotto copertura, l’acclività è di norma accentuata, il che determina una condizione costante di penetrazione di coni di luce attraverso l’embriciatura delle chiome, il che conferisce spesso carattere di comunità durevole ad alcuni popolamenti.
Tali aggruppamenti per le ragioni suddette presentano una composizione con caratteri residuali delle formazioni di latifoglie miste a elevata partecipazione di Corylus che hanno segnato l’esordio dell’optimum climatico olocenico, che vide condizioni a termicità leggermente più accentuata rispetto a quella attuale ma a regimi di precipitazione con attenuazione della aridità nei territori corrispondenti al centro e al meridione della penisola. In questo periodo la foresta decidua a partecipitazione di Fagus ebbe la sua massima espansione appenninica e verosimilmente raggiunse le quote più elevate. Le successive vicende climatiche hanno determinato lo stabilirsi dell’optimum climatico hanno indotto una periferizzazione di aspetti dominati da tigli aceri e olmo montano in quanto alle quote medie e siti pianeggianti si sono affermate e segregate le silvofacies a Quercus sp. pl. e in quota si è segregata per impoverimento la faggeta pura.
In Appennino tali consorzi sono persistiti ove nessuna dominante abbia innescato meccanismi di esclusione competitiva (il faggio), rimanendo pertanto conservati su pendii acclivi e condizioni di forra, peraltro sede di fenomeni conservativi anche per specie termo-mesiche e laurofille (cfr. Tilio-Acerion s.l.). L’accentuata frammentazione che caratterizza questi popolamenti, imputabile sia alla rarità intrinseca di stazioni idonee nel contesto macroclimatico attuale che ai processi di “purificazione” derivati dal tipo di governo cui da tempo sono sottoposte le foreste locali, ha indotto a rappresentare questa formazione non attraverso il sistema della poligonazione ma bensì con la evidenziazione dei popolamenti più significativi in forma di asterischi nelle località e nei contesti vegetazionali conservativi per tale vegetazione.
2.1.3 Castagneti (unità n. 3).
Si tratta di popolamenti derivati da colture di castagno da frutto ormai prevalentemente abbandonate costituite da soprassuoli di individui di grandi dimensioni localizzate nel settore centro occidentale del promontorio.
L’abbandono ha determinato una sorta di ricolonizzazione del sottobosco da parte di popolazioni di cerro Acer obtusatum, Sorbus torminalis, Ostrya carpinifolia, Carpinus orientalis, Quercus pubescens, verosimilmente legati a un consorzio in precedenza eliminato e rispondenti a una variabilità di condizioni stazionali. Il problema della forma di vegetazione di origine dalla quale un processo di addomesticamento della foresta per “frutalizzazione” abbia condotto alla segregazione di Castanea è di non facile soluzione.
Va esclusa comunque una nascita dei castagneti da frutto come impianti intenzionali almeno in epoca antica, sia per le difficoltà pratiche di una messa a dimora in uno scenario tecnologico del mondo rurale antico, sia per il fatto che una flora accompagnatrice di foresta mesica su substrati profondi decalcificati coincide con i popolamenti a Castanea (Pteridium aquilinum, Allium pendulinum, Anemone apennina, Daphne laureola). È verosimile pertanto che in uno scenario precultutrale il castagno fosse presente come specie rara nel contesto della foresta mista caducifoglia in condizioni di locale accumulo di suoli residuali, nei fondi delle doline della morfologia del paesaggio carsico.
2.1.4 Boschi dominati da Quercus cerris (unità n. 4).
Le cerrete costituiscono la forma di vegetazione forestale di gran lunga più diffusa sul promontorio, ricoprendo una superficie stimata intorno a 10.000 ha (Hofmann, 1969). Localizzate nella porzione centrale del territorio su terreni pianeggianti e poco acclivi, con accumulo di argilla, esse si pongono di norma in fasce orometriche leggermente inferiori alla faggeta (Monte Spigno, pendici di Coppa Impagnatiello, pendici orientalidi Monte Iacotenente, dove la cerreta entra in contatto con le propaggini montane della pineta a Pino d’Aleppo). Si tratta per lo più di foreste governate a fustaia, cosa che conferisce un ragguardevole valore documentario ai consorzi. Ad essi partecipano popolazioni di Carpinus betulus, Quercus frainetto, Fraxinus ornus, Acer obtusatum e Carpinus orientalis; meno frequenti sono Acer campestre e Fagus sylvatica, rispettivamente rappresentanti di silvofacie più disturbate o di siti a topografia eterogenea e di silvofacies di tipo mesico.
Nel Bosco di Manfredonia a 650 m di altitudine, la volta forestale della cerreta raggiunge l’altezza molto ragguardevole di 25-30 m, con esemplari che presentano diametri di 80 cm. Lo strato arbustivo è costituito da popolazioni di Rosacee legnose (Crataegus monogyna, Sorbus domestica, Prunus spinosa, Pyrus torminalis, P. pyraster), oltre a Ruscus aculeatus Daphne laureola, Cytisus villosus, Euonimus europaeus. Benché ripetutamente asportato a seguito delle pratiche colturali, in questo strato si rinvengono esemplari cospicui di Ilex aquifolium, che tendono a formare un incipiente strato subordinato, degno di un regime di salvaguardia. Nello strato erbaceo sono comuni specie mesofitiche proprie dei boschi di latifoglie temperate (Sanicula europaea, Melica uniflora e Mercurialis perennis, Cyclamen hederifolium, Brachypodium sylvaticum).
In località Cutino del Rospo, a 160 m di altitudine, è presente il nucleo di fustaia di cerro con caratteristiche sudescritte che raggiunge le quote più basse del comprensorio. Una zonalità locale della cerreta è comunque ravvisabile nella collocazione periferica all’ambiente dei pascoli sulle pendici che circondano il bassopiano parzialmente deforestato di Piano Canale. Essa mostra inoltre una certa eterogeneità floristica che si risolve in un’articolazione cenologica complessa, la quale documenta rapporti dinamici sia con le foreste decidue mesofile polispecifiche a tigli aceri e querce caducifoglie che con le foreste sempreverdi mediterranee. Al bosco di Ischitella si presenta in alcuni siti come consorzio misto di cerro e farnetto al quale non è estraneo un sottobosco caratterizzato dalla presenza di specie mediterranee. In altri siti nello stesso comprensorio (Vallone dell’Inferno), mostra caratteri di transizione con la foresta temperata mista polispecifica (unità n. 2) arricchendosi di popolazioni di Ulmus glabra, faggio, farnetto e alloro.
È comunque in competizione con la faggeta nelle aree sommitali, dove spesso sembra costituire una sorta di forma di disturbo pregresso di consorzi misti a cerro e faggio. Un contatto con la foresta di faggio a carattere termomesico si realizza anche alle basse quote, nelle forre a Nord dello spartiacque, ove la presenza di popolazioni di Ilex aquifolium, Daphne laureola, Euphorbia amygdaloides mostra una probabile matrice unitaria, in epoche pregresse, di tutto il complesso delle foreste decidue mesofile locali. Particolarmente significativa è la presenza di Lathyrus jordanii entità a distribuzione ristretta all’Italia meridionale (Gargano, Basilicata, Cilento, Calabria) e alla penisola balcanica affine a L. niger, specie a vasta distribuzione europeo-caucasica. Ciò suggerisce la presenza fino ad epoca evidentemente subrecente in senso geologico, di flussi genici tra le popolazioni transadriatiche, a testimonianza di ponti continentali tardo- quaternari.
La presenza di un’entità a distribuzione europeo-caucasica di tipo nemorale documenta come le foreste garganiche siano in realtà derivate da rifugi forestali del Quaternario superiore rimasti in loco, per lo scarso impatto degli eventi glaciali sulla copertura vegetale della zona circostante. La fascia di territorio alle medie ed alte quote del settore orientale del promontorio vede il costituirsi di popolamenti di foresta decidua a Quercus cerris nella quale la presenza di popolazioni di Pinus halepensis conferisce una struttura di tipo misto su superfici relativamente estese. Si tratta di espansioni verosimilmente subrecenti del fronte della distribuzione di pini, a partire dai siti costieri verso l’interno, a seguito dei processi distruttivi indotti dal passaggio del fuoco. Qualora la diffusione del pino non sia legata a una propagazione spontanea da impianti artificiali messi a dimora nelle vicinanze, i nuclei extrazonali esistenti di flora legnosa mediterranea potrebbero suggerire una preesistenza naturale del pino al loro interno o una sua migrazione occasionale a queste quote attraverso corridoi di continuità mediterranea localizzati lungo allineamenti di sporadici rupestri dei solchi vallivi subcostieri.
Queste cerrete sono inquadrabili p.p. nell’associazione Physospermo verticillati-Quercetum cerridis presente anche in Lucania e nella Calabria centrale più interna.
LA FAUNA
1. DESCRIZIONE GENERALE E RELAZIONI CON IL CONTESTO
Le aree comprese nel Parco Nazionale del Gargano sono notoriamente di particolare interesse biogeografico, soprattutto a causa della posizione peculiare dell’intero comprensorio, isolato dalle aree Appenniniche da un lato, ma con una ovvia collocazione di naturale “ponte” biogeografico tra i Balcani e la Penisola Italiana, e caratterizzato oltre tutto da una notevole varietà ed eterogeneità di ambienti naturali (malgrado le sue massime elevazioni superino appena i 1000 m sul livello del mare).
Queste caratteristiche hanno sempre stimolato le campagne di studio dell’invertebratofauna terrestre nell’area, che è stata oggetto di ricerche senza dubbio più accurate rispetto ad altre zone montane o costiere dell’Italia meridionale, malgrado la mancanza di un qualsiasi piano organico di campionamento. Poche eccezioni sono state rappresentate da alcune campagne di ricerca protrattesi per alcuni anni consecutivi tra il 1953 e il 1956 per quanto concerne i Lepidotteri, negli anni ’50 e ’60 per quanto concerne altri gruppi di insetti e di invertebrati del suolo, e ancora negli anni ’70 per alcuni gruppi di Coleotteri.
Per una caratterizzazione generale del Parco sotto il profilo entomologico e invertebratologico, è opportuno riferirsi proprio alle informazioni desumibili dai gruppi globalmente meglio noti, ovvero Coleotteri e Lepidotteri. Sintesi dei risultati per questi due basilari gruppi di insetti sono state fornite soprattutto in Angelini (1987) per quanto concerne i Coleotteri, e in Zangheri (1956), Parenzan (1979, 1994) e Bruno
(2002) per quanto concerne i Lepidotteri.
La coleotterofauna è stato oggetto di una serie particolarmente estesa, benché disorganica, di campionamenti e di campagne di raccolta, che, a partire dagli inizi del secolo scorso, hanno portato alla redazione di una lista che comprende attualmente circa 2500 specie, ovvero poco meno del 20 % di quelle note per l’intera fauna italiana (Angelini, 1987). Questa percentuale, pur da considerare certamente ancora molto sottostimata (si veda la relazione in appendice sui Coleoptera), pone comunque il Promontorio del Gargano già ai primi posti per la complessiva ricchezza di specie, tra tutti i comprensori sinora più accuratamente studiati dell’intera Italia centro-meridionale, e valori simili sono da ritenere probabili per la maggior parte degli altri gruppi tassonomici. Anche per i Lepidotteri, per i quali è nota una lista di poco meno di 500 specie nell’area garganica estesa, e di oltre 400 nell’area ristretta del Parco, le percentuali di rappresentatività sull’insieme della fauna italiana si attestano su valori analoghi, sebbene leggermente inferiori (Zangheri, 1956; Parenzan, 1979, 1994; Bruno, 2002).
Questo dato potrebbe risultare sorprendente, considerando la bassa elevazione del comprensorio, che certamente non può comprendere ambienti particolarmente ricchi di specie e di endemiti come quelli altomontani, ma che evidentemente consente comunque la sopravvivenza di importanti componenti mesofile e sciafile nei settori boschivi relativamente più umidi e meno disturbati della Foresta Umbra, al fianco di ricche componenti xerofile caratteristiche degli orizzonti vegetazionali inferiori, a carattere schiettamente mediterraneo oppure parasteppico. Inoltre, la commistione di elementi appenninici a più o meno vasta distribuzione italiana, con elementi chiaramente a carattere relitto (endemiti garganici ad affinità balcano-anatoliche, o elementi gargano-balcanici e appenninico-balcano-anatolici ad areale disgiunto), anche igrofili planiziari, è in grado da sola di arricchire in maniera significativa la complessità faunistica e la biodiversità dell’area. Possiamo affermare, in sintesi, che la peculiarietà della fauna invertebratologica del Gargano è da ricercare soprattutto nell’eterogeneità ambientale di un territorio che ha di fatto le connotazioni biogeografiche e macroecologiche di una grande isola subcontinentale.
2. INDIVIDUAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DI INTERESSE (“EMERGENZE”) E VALUTAZIONE DELLE CONDIZIONI ATTUALI.
In sintesi, gli ambienti di maggiore interesse per l’entomofauna risultano quelli forestali a dominanza di faggeti e di querceti mesofili e meso-xerofili, dove, sia a livello della componente schiettamente forestale, sia di quella ipogea, risultano presenti sia elementi mesofili alpino-appenninici, medioeuropei o europei orientali che spesso manifestano nel Gargano il loro limite meridionale di areale, sia un modesto ma comunque significativo numero di elementi endemici (principalmente Coleotteri, alcuni
Acari, e altri gruppi “minori” di invertebrati) perlopiù ad affinità balcano-anatoliche. La quasi totalità di questi endemiti risulta associata al suolo e alle radici (Coleotteri Stafilinoidei, Curculionoidei, Acari Oribatidi) o allo strato erbaceo immediatamente sovrastante.
Una seconda serie di ambienti di notevole interesse, ancora insufficientemente studiati, è rappresentata da quelli xero-mediterranei e da quelli parasteppici relitti, spesso intercalati a frammentati ambienti forestali con dominanza di querceti xerofili, dove analogamente sono presenti elementi xerofili sia W- che E- mediterranei (che spesso manifestano nel Gargano il loro limite rispettivamente orientale o occidentale di areale), oltre a pochi elementi endemici, anche in questo caso perlopiù ad affinità
balcano-anatoliche.
Importanti elementi xerofili, tra cui alcuni Coleotteri Anticidi probabilmente endemici, sono poi presenti a livello dei relitti settori dunali, con particolare riferimento a quelli a ridosso della Foce del Fortore e dei Laghi di Lesina e di Varano, e quelli, più limitati e a carattere frammentario, a Sud di Manfredonia. Si tratta di una microfauna globalmente di grande interesse, soprattutto per il carattere relittuale di buona qualità ambientale che questa tipologia di habitat, altrove largamente compromessa dalla attività antropiche, mantiene nel settore interessato (Audisio et al., 2002).
Anche la presenza, soprattutto nel settore Foce del Fortore-Lago di Lesina, di importanti lembi di aree umide planiziarie, contribuisce ad arricchire il quadro faunistico di numerosi elementi igrofili a più o meno vasta diffusione in Europa meridionale e nel Mediterraneo, caratterizzati sovente da una distribuzione inevitabilmente frammentata e a carattere residuale, a causa della distruzione o della sensibile riduzione di questa tipologia di habitat in Italia, soprattutto in quella centro-meridionale. Anche tra questi elementi igrofili, è da annotare la presenza di alcuni elementi a diffusione transadriatica e ad attuale distribuzione disgiunta balcano-garganica o balcano-anatolica-apula, che limitano sovente la loro presenza in Italia a questo solo settore delle Puglie o a questo ed altri limitrofi (Penisola Salentina, Golfo di Taranto).
Di grande interesse effettivo e potenziale, soprattutto sotto il profilo biogeografico, sono poi le faune iporreiche, del tutto insufficientemente studiate (rappresentate essenzialmente da piccoli Crostacei interstiziali e di falda), e le faune delle piccole sorgenti e degli associati ambienti igropetrici, che potrebbero ancora rivelare delle notevoli sorprese anche sotto il profilo tassonomico. Infatti, la scarsità di ambienti lotici dell’intero Promontorio (ISEC-CNR, 2001) pone l’area in una condizione che simula quella degli ambienti insulari mediterranei, dove non poche specie igrofile o acquatiche di grande interesse (spesso con endemismi puntiformi ormai al limite dell’estinzione) sono rimaste isolate in limitatissimi ambienti sorgentizi e igropetrici.
A parte i pochi endemiti presenti tra i gruppi sopra citati, e che, con l’eccezione forse di quelli associati ad ambienti litoranei sabbiosi, non sembrano comunque in alcun modo minacciati, almeno una parte delle maggiori “emergenze” entomologiche del Gargano sotto il profilo naturalistico risulta dunque essere concentrata in quella componente di elementi a distribuzione disgiunta e a diffusione transadriatica, spesso con areale italiano, che interessa solo il Gargano e alcuni settori dell’Italia meridionale, e che si attesta globalmente intorno al 10% circa della fauna presente. Più che di singole specie, si tratta quindi di una “emergenza naturalistica” rappresentata da una intera componente faunistica, che trova nelle sue radici storiche biogeografiche l’essenza stessa della sua peculiarietà e rappresentatività.
3. PUNTI DI FORZA E DEBOLEZZA, OPPORTUNITÀ E MINACCE
Salvo eccezioni al momento difficilmente individuabili, non sembrano esister minacce di particolare gravità sull’insieme delle componenti di maggior rilevo naturalistico dell’entomofauna e invertebratofauna del Gargano, ad eccezione forse di alcune componenti più sensibili della psammofauna alofila di spiagge e dune, della limitatissima macrobentofauna relitta di sorgenti e pozze, e di quella iporreica, per la quale sarebbero peraltro necessarie delle campagne mirate di campionamento, essendo queste componenti ancora insufficientemente conosciute (ISEC-CNR, 2001) e potenzialmente non del tutto individuate per semplice carenza di ricerche specialistiche.
A livello degli ambienti costieri dunali e retrodunali, il disordine degli attraversamenti pedonali durante il periodo estivo e in genere la fruizione a scopi balneari dei settori litoranei sabbiosi, possono comunque rappresentare un significativo elemento di
disturbo, sebbene un’opportuna delimitazione e riordino delle attività stesse ne consenta in genere una sufficiente compatibilità con la salvaguardia degli ecosistemi psammo-alofili.
Per quanto concerne le garighe e la macchia mediterranea in ambienti rupestri, questi habitat sono ancora sufficientemente estesi e diffusi, soprattutto nel settore costiero orientale del Promontorio, per garantire la sopravvivenza della relativa entomofauna specializzata. Solo incendi ripetuti, attività edilizie abusive, il sovrapascolamento ovino e caprino, la costruzione o l’ampliamento di nuove strade, potrebbero costituire un rischio di qualche rilievo per queste comunità, peraltro di norma costituite da elementi
ad ampia distribuzione mediterranea.
Per quanto concerne gli ambienti umidi e boscati planiziari, il loro attuale carattere residuale e le gravissime perturbazioni indotte dai piani di bonifica protrattisi nell’area per secoli ne fanno già di per sé una tipologia di habitat fortemente compromessa. I rischi possono essere rappresentati soprattutto sul piano antropico dalla ulteriore sottrazione di territorio per locali abusi o incuria a carattere ambientale (scarichi incontrollati di liquidi o di inerti soliti, incendi, ecc.), e la mancanza di opportuni coordinamenti per opere di protezione concertate a livello dell’intero settore litoraneo Molisano-Apulo tra la foce del Fiume Biferno e Rodi Garganico, che creino un effettivo e funzionale sistema territoriale e di corridoio floro-faunistico di sufficiente continuità.
Elementi naturali di rischio possono essere rappresentati da piene eccezionali dei corsi d’acqua interessati (Fortore, Scaccione), che, in presenza di una forte riduzione degli habitat di ancora accettabile qualità ambientale, potrebbero localmente danneggiarli in modo devastante (mentre in presenza di aree più estese di buona qualità ambientale la naturale resilienza di questi ambienti potrebbe grandemente attenuare i danni stessi, nel breve-medio periodo). Un discorso a parte merita l’alveo prosciugato da tempo del Lago di S. Egidio presso San Giovanni Rotondo, biotopo di grande interesse naturalistico fino agli inizi del secolo scorso, presso il quale sono state effettuate le uniche segnalazioni per il Gargano di numerosissime specie di insetti igrofili e paludicoli, alcuni di particolare interesse biogeografico (Holdhaus, 1911; Gridelli, 1949; Magistretti, 1966; Angelini, 1987; Jäch, 1989), e
per il quale potrebbe essere importante studiare più nel dettaglio quei ridottissimi e ampiamente manomessi microhabitat residuali che potrebbero avere conservato almeno una piccola porzione delle ricche artropodocenosi limicole originarie.
A livello degli ecosistemi di radure semi-naturali, praterie e formazioni parasteppiche presenti soprattutto lungo il versante pedemontano settentrionale del Promontorio, ma con interessanti microparcelle di non facile localizzazione anche nel settore tra Monte Sant’Angelo-Coppa Guardiola, la componente entomologica è minacciata soprattutto da incendi, diffusione di specie vegetali aliene, e locale sovrapascolamento. Soprattutto per questa tipologia ambientale, abbastanza diffusa nel comprensorio in esame, ma frammentata in “spot” di buona qualità ambientale circondati da ampie aree di degrado e fortemente depauperate, sarà importante mantenere in tali “spot”, almeno lo stato qualitativo attuale, evitando rigorosamente ulteriori rimaneggiamenti che possano banalizzarne la componente sia vegetale che animale. Questi “spot” coincidono largamente con le aree “ad elevata ricchezza di specie ornitiche steppiche e parasteppiche” segnalate nella cartografia del progetto Life (WWF Italia, 2000).
Le aree forestali mesofile e quelle xerofile sono sufficientemente estese e discretamente salvaguardate nella maggior parte del comprensorio. I maggiori fattori di rischio sono legati però alle aree con attività controllate di produttività forestale, che minacciano come noto soprattutto l’entomofauna saproxilica, legata ai tronchi marcescenti, agli alberi più vecchi e ai miceli arborei, e che mal sopporta i cicli pluriennali di abbattimento e diradamento forestale a controllo antropico.
Si tratta di componenti che, una volta eliminati ciclicamente i microhabitat adatti, rischiano la totale estinzione locale o almeno un
forte depauperamento, con la perdita degli elementi di maggior pregio naturalistico (soprattutto Coleotteri delle famiglie Cetoniidae, Carabidae (Rhysodini), Lucanidae, Zopheridae, Bothrideridae, Cerylonidae, Nitidulidae, Endomychidae, Alexiidae, Erotylidae, Imenotteri Sinfiti, alcune famiglie di Microlepidotteri, ecc.). Le aree di maggior importanza naturalistica, oltre il nucleo centrale della Foresta Umbra (in particolare Bosco Sfilzi e Valle Tesoro), sono da ritenere soprattutto quelle del Bosco di Spina Pulci presso Sannicandro Garganico, e di Bosco Spigno tra Carpino e Monte Sant’Angelo,dove sono segnalate o comunque
note numerose entità saproxiliche ad areale frammentato e estremamente rare in Italia (inclusa una popolazione ancora di incerta attribuzione specifica, riferibile all’Artenkreis di Osmoderma eremita (Cetoniidae), una delle poche entità di Coleotteri strettamente protette a livello comunitario (Audisio et al., 2003).
4. SINTESI DELLE PROBLEMATICHE E DELLE AREE CRITICHE.
La commistione di elementi appenninici a più o meno vasta distribuzione italiana, con elementi chiaramente a carattere relitto (endemiti garganici ad affinità balcano-anatoliche, o elementi gargano-balcanici e appenninico-balcano-anatolici ad areale disgiunto), anche igrofili planiziari, sono l’aspetto di maggiore interesse naturalistico del comprensorio del Parco Nazionale del Gargano, insieme ad un ridotto numero di stretti endemiti (appena una ventina di specie tra Coleotteri e Lepidotteri, circa lo 0,7% su un totale di poco meno di 3000 specie note nel comprensorio). Le aree più critiche sono da considerare:
- quelle residuali costiere litoranee su substrato sabbioso (tra la Foce del Fortore e Rodi Garganico); in particolare le aree di spiaggia sabbiosa, dunali e retrodunali che fronteggiano il Lago di Lesina, con particolare riguardo a quelle in prossimità della Foce del Fortore e della località Torre Spinale, oltre che all’Isola di Varano;
- quelle umide planiziarie relitte in maggioranza concentrate nello stesso settore (tra la Foce del Fortore e Rodi Garganico), oltre a quelle esterne a Sud di Manfredonia;
- quelle di migliore qualità ambientale associate a formazioni vegetali a carattere parasteppico (corpi pedemontani settentrionali e centrali del Promontorio), e a carattere rupestre non mediterraneo (soprattutto tra Monte Sant’Angelo e
Sannicandro, e a Sud-Ovest di Monte Sant’Angelo e San Giovanni Rotondo); - le comunità relitte macrobentoniche associate a piccoli corsi d’acqua, ambienti igropetrici,sorgenti, e ugualmente la fauna iporreica e interstiziale, sebbene i dati disponibili siano ancora troppo scarsi e frammentari per poter fare alcun tipo di valutazione, sia in termini di localizzazione che di qualità biologica; solo ulteriori opportune e mirate ricerche specializzate
potranno fornire un quadro accettabile della situazione.
Non sembrano presentare particolari rischi invece:
- i settori costieri e subcostieri tra Rodi e Manfredonia, dove le estensioni delle formazioni a garighe e macchia mediterranea sono ancora tali, malgrado diversi tratti con forti perturbazioni antropiche del recente passato (associate perlopiù all’edilizia costiera e alla viabilità), da non compromettere sensibilmente la stabilità delle relative entomocenosi;
- gli ambienti boschivi, a rischio solo localmente, soprattutto al di fuori dai nuclei forestali a massima protezione, a causa
dalle attività forestali e silvo-pastorali, che in alcuni settori non possono garantire il mantenimento delle comunità di insetti e artropodi tipicamente associate alle foreste a carattere primario e di elevata qualità ambientale, presenti ormai solo in alcuni nuclei forestali più interni (Foresta Umbra, Bosco di Spina Pulci)..
5. COLLEGAMENTO CON AREE ESTERNE.
I collegamenti con aree esterne sono almeno in parte garantiti per quanto concerne le fasce costiere settentrionali (umide retrodunali, dunali e costiere), malgrado sia forte la necessità di creare un migliore continuum di territorio costiero sottoposto a vincoli di tutela tra il Promontorio del Gargano e le Foci del Biferno (o, meglio, tra il Promontorio e le foci del Trigno).
Più difficile la situazione delle aree umide costiere presso Manfredonia, che si trovano in un contesto di maggiore isolamento e di maggiore degrado delle aree esterne limitrofe. Habitat comparabili sono individuabili solo ben più a Sud lungo la costa adriatica della Puglia meridionale, ormai separate dai siti meridionali pedegarganici da decine o centinaia di chilometri di contesti urbani, agricoli o comunque a forte impatto antropico. D’altra parte, la natura stessa della morfologia costiera rende queste zone umide del tutto isolate, almeno per quanto attiene la maggior parte dell’invertebratofauna con bassa vagilità, anche dalle altre zone umide settentrionali del Gargano.
La situazione è più complessa anche per quanto attiene gli ambienti steppici e parasteppici pedemontani, dove le situazioni di
migliore qualità ambientale sono riscontrabili con una certa discontinuità nella estesa fascia a orientamento W-E tra Rignano Garganico e Monte Sant’Angelo e sui margini dei valloni che scendono da Monte Sant’Angelo verso Manfredonia, e a SW di Manfredonia stessa, ma aree esterne limitrofe con analoghe caratteristiche biocenotiche non sembrano individuabili, se non in
microparcelle distribuite tra Rignano Garganico e Apricena. Sotto il profilo delle esigenze dell’entomofauna e dell’invertebratofauna, la componente steppica e parasteppica sembra comunque godere già all’interno del comprensorio protetto di una seriazione ed un’estensione spaziale di habitat favorevoli al mantenimento delle popolazioni naturali, almeno prospettandone una gestione qualificata, limitata al mantenimento dei valori naturali presenti.
Ultimo aggiornamento
16 Maggio 2023, 09:52